La lotta ai furbetti
Lo spunto per questo articolo è arrivato dalla segnalazione fatta dal vulcanico collega Giuseppe Falanga, riguardo l’adozione di un sistema di rilevazione delle presenze attraverso l’impronta digitale adottato da una amministrazione (nello specifico si tratta di una Azienda Sanitaria).
Al di là degli aspetti lagati alla privacy (andranno raccolti dati biometrici di tutti di dipendenti), il primo impulso, leggendo queste notizie, è di sentirsi un po’ indignati. Non per il controllo in sé, perché chi fa il suo dovere sa bene che i controlli sono una forma di tutela, non di vessazione. Più che altro per l’immagine del pubblico impiego che arriva alla gente quando queste notizie vengono pubblicate. Il messaggio che arriva alla gente comune è che se non lo controlli, il pubblico dipendente non lavora, timbra il cartellino (o lo fa timbrare dal collega) e va a fare la spesa, fa un secondo lavoro e chi più ne ha più ne metta.
Poi però è necessario anche essere onesti, ed ammettere che nonostante le campagne stampa, nonostante l’inasprimento delle sanzioni, nonostante contromosse estemporanee (come quella dei tornelli), gli episodi continuano a ripetersi con regolarità disarmante, ed un po’ in tutto il territorio nazionale.
La verità, come spesso succede, è che coloro che si macchiano di questi comportamenti sono una sparuta minoranza, mele marce che sono presenti statisticamente in tutte le categorie ed in tutte le situazioni. I più danneggiati poi sono i colleghi, perché in un momento storico dove praticamente tutte le pubbliche amministrazioni sono sotto organico ed i carichi di lavoro sono sempre più gravosi, se qualcuno non lavora, qualcun altro deve svolgere anche le sue mansioni.
Allora forse l’unico modo di debellare certe cattive abitudini è trovare gli anticorpi al proprio interno. E’ stato introdotto con la legge 190/2012 il cosiddetto whistleblowing (clicca qui per il contenitore sull’argomento), ed i primi dati resi noti dall’ANAC parlano di molte segnalazioni, ma usate più per ritorsioni personali che per perseguire gli obbiettivi della legge, cioè la segnalazione di violazione di leggi o regolamenti, minaccia di un interesse pubblico, situazioni di pericolo per la salute e la sicurezza pubblica.
L’atteggiamento prevalente è quello di chi si sente a posto con la propria coscienza, perché fa il suo lavoro, lo fa con impegno, anche oltre a quanto gli è richiesto, formandosi con mezzi propri, garantendo flessibilità anche oltre le previsioni contrattuali, automotivandosi e credendo in quello che fa. Ma ci si può davvero sentire a posto con la propria coscienza sapendo che un collega viola legge e tenendoselo per se? A questa domanda ognuno deve trovare la propria risposta.
Redazione di poliziamunicipale.it
M. Mavino
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