Data di pubblicazione:
17 maggio 2007
La sartoria dei vigili urbani era clandestina
Fonte:
La Stampa
Regione:
Veneto
La scoperta di una sartoria clandestina di cinesi porta con sé due notizie. La prima, più immediata, riguarda l’illegalità dello sfruttamento di sei giovani artigiani costretti a lavorare e a vivere in condizioni che si fatica a definire umane. Ottocento euro al mese per 14 ore di lavoro al giorno, vitto e alloggio in un tugurio di strada della Barberina, in mezzo ai prati della Falchera.
La seconda notizia, sfiora il paradosso. Perché le piccoli mani cinesi cucivano divise per la polizia municipale di numerose città di Piemonte, Liguria e Lombardia. E meno male che l’operazione è stata portata a termine dai carabinieri, perché altrimenti pensa l’imbarazzo e lo straniamento dei vigili pronti a punire chi aveva illegalmente confezionato la loro divisa. Ma questo è un aspetto secondario, tanto più che nessun comando di polizia municipale che aveva commissionato gli abiti d’ordinanza era a conoscenza della sartoria clandestina. Il motivo è semplice: il lavoro era stato subappaltato da una seria e stimata azienda, da un secolo sul mercato delle divise: la Barberini&C spa, anch’essa totalmente estranea alla vicenda. Perché quando la Barberini, nel 2004, aveva incaricato il cinese Dai Gui Zhou, 40 anni - ieri smascherato a sfruttare i connazionali - una visura camerale dimostrava l’esistenza di una sua piccola impresa.
Che ha chiuso poco dopo ma ha perseverato nell’emettere fatture false. Dai Gui Zhou è stato arrestato dai carabinieri della compagnia di Venaria per aver dato lavoro a quattro clandestini, contro la legge sull’immigrazione. In libertà, invece, sua moglie e gli altri cinque sarti, tra cui due donne. È stata proprio una di queste a confessare tutto agli uomini coordinati dal capitano Ubaldo Manacorda (il caso è seguito dal pm Vincenzo Pacileo). Minuta, 36 anni, ha raccontato la sua storia di sogni infranti: «Per noi clandestini, l’importante è trovare un posto di lavoro che garantisca vitto e alloggio - ha raccontato in cinese alla presenza di un interprete - : lavoravamo 15 ore al giorno, tranne la domenica che era il nostro giorno libero. Niente mutua, niente ferie e non potevamo uscire senza il permesso di Dai Gui Zhou perché non abbiamo il permesso di soggiorno». La giornata tipo nel capannone ha ritmi frenetici - in ognuna delle due stanze della lurida sartoria ci sono 8 macchine da cucire e tre assi da stiro - il tempo libero si trascorre davanti alla tv «e qualche volta al supermercato, anche se alla cucina pensava sempre la moglie di Dai Gui Zhou. Ho trovato quest’occupazione grazie a un’inserzione pubblicata su un giornale cinese e ho subito accettato. Qualche altro mio connazionale, quando ha visto il capannone così sporco, non ha voluto saperne, altri invece non sono stati considerati bravi a cucire».
Norme igieniche e di sicurezza scarse, convivenza forzata in una piccola cucina accanto a un bagno ancora più piccolo e malconcio. Questo lo spettacolo apparso ieri mattina all’alba durante il blitz dei carabinieri. I cinesi, mezzi addormentati e senza essere in grado di spiccicare una parola in italiano (tranne il boss finito in manette) erano circondati da centinaia di divise blu appese agli attaccapanni pronte per essere consegnate. «Ricevevamo regolarmente il materiale - dice l’amministratore delegato della Barberini, Flavio Rho - ma era accompagnato dalle fatture e quindi non ci siamo mai insospettiti. Alla sorpresa si aggiunge l’amarezza per un simile raggiro». Un mix di stupore e rabbia anche per Andrea Bogge, comandante della polizia municipale di Oulx (in passato anche di Bardonecchia): «Nell’alta Val Susa in tanti ci siamo affidati alla Barberini. Suona come ironia della sorte sapere di indossare divise realizzate in un regime di illegalità, contro cui combattiamo ogni giorno».
Fonte:
La Stampa
La seconda notizia, sfiora il paradosso. Perché le piccoli mani cinesi cucivano divise per la polizia municipale di numerose città di Piemonte, Liguria e Lombardia. E meno male che l’operazione è stata portata a termine dai carabinieri, perché altrimenti pensa l’imbarazzo e lo straniamento dei vigili pronti a punire chi aveva illegalmente confezionato la loro divisa. Ma questo è un aspetto secondario, tanto più che nessun comando di polizia municipale che aveva commissionato gli abiti d’ordinanza era a conoscenza della sartoria clandestina. Il motivo è semplice: il lavoro era stato subappaltato da una seria e stimata azienda, da un secolo sul mercato delle divise: la Barberini&C spa, anch’essa totalmente estranea alla vicenda. Perché quando la Barberini, nel 2004, aveva incaricato il cinese Dai Gui Zhou, 40 anni - ieri smascherato a sfruttare i connazionali - una visura camerale dimostrava l’esistenza di una sua piccola impresa.
Che ha chiuso poco dopo ma ha perseverato nell’emettere fatture false. Dai Gui Zhou è stato arrestato dai carabinieri della compagnia di Venaria per aver dato lavoro a quattro clandestini, contro la legge sull’immigrazione. In libertà, invece, sua moglie e gli altri cinque sarti, tra cui due donne. È stata proprio una di queste a confessare tutto agli uomini coordinati dal capitano Ubaldo Manacorda (il caso è seguito dal pm Vincenzo Pacileo). Minuta, 36 anni, ha raccontato la sua storia di sogni infranti: «Per noi clandestini, l’importante è trovare un posto di lavoro che garantisca vitto e alloggio - ha raccontato in cinese alla presenza di un interprete - : lavoravamo 15 ore al giorno, tranne la domenica che era il nostro giorno libero. Niente mutua, niente ferie e non potevamo uscire senza il permesso di Dai Gui Zhou perché non abbiamo il permesso di soggiorno». La giornata tipo nel capannone ha ritmi frenetici - in ognuna delle due stanze della lurida sartoria ci sono 8 macchine da cucire e tre assi da stiro - il tempo libero si trascorre davanti alla tv «e qualche volta al supermercato, anche se alla cucina pensava sempre la moglie di Dai Gui Zhou. Ho trovato quest’occupazione grazie a un’inserzione pubblicata su un giornale cinese e ho subito accettato. Qualche altro mio connazionale, quando ha visto il capannone così sporco, non ha voluto saperne, altri invece non sono stati considerati bravi a cucire».
Norme igieniche e di sicurezza scarse, convivenza forzata in una piccola cucina accanto a un bagno ancora più piccolo e malconcio. Questo lo spettacolo apparso ieri mattina all’alba durante il blitz dei carabinieri. I cinesi, mezzi addormentati e senza essere in grado di spiccicare una parola in italiano (tranne il boss finito in manette) erano circondati da centinaia di divise blu appese agli attaccapanni pronte per essere consegnate. «Ricevevamo regolarmente il materiale - dice l’amministratore delegato della Barberini, Flavio Rho - ma era accompagnato dalle fatture e quindi non ci siamo mai insospettiti. Alla sorpresa si aggiunge l’amarezza per un simile raggiro». Un mix di stupore e rabbia anche per Andrea Bogge, comandante della polizia municipale di Oulx (in passato anche di Bardonecchia): «Nell’alta Val Susa in tanti ci siamo affidati alla Barberini. Suona come ironia della sorte sapere di indossare divise realizzate in un regime di illegalità, contro cui combattiamo ogni giorno».
Fonte:
La Stampa
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