45868
il porto di un oggetto non destinato all'offesa cessa di essere giustificato nel momento in cui, per le circostanze di tempo di luogo o per il concreto uso che dello strumento viene fatto, esso perde la propria connotazione di oggetto di uso comune e diventa invece un'arma impropria. Ne consegue che qualsiasi oggetto comune, che in un contesto aggressivo possa essere utilizzato per l'offesa alla persona, è qualificabile come arma ai fini dell'applicazione dell'aggravante di cui all'art. 585 c.p., comma 2.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza del 14 novembre 2023, n. 45868
Ritenuto in fatto
1. La pronunzia impugnata è stata deliberata il 27 ottobre 2022 dalla Corte di appello di Trieste, che ha confermato la decisione del Tribunale di Pordenone nei confronti di G.E. , condannata in primo grado con rito abbreviato per il reato di lesioni personali aggravate dall'uso dell'arma (uno spray al peperoncino) nei confronti di B.I. .
2. Il ricorso proposto nell'interesse dell'imputata dal suo difensore di fiducia si compone di tre motivi.
2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge in riferimento all'art. 582 c.p. perché - si sostiene - lo spray al peperoncino non sarebbe un'arma, sicché la fattispecie dovrebbe rientrare in quelle procedibili, a seguito della riforma Cartabia, a querela di parte.
2.2. Il secondo motivo di ricorso deduce violazione di legge circa la ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dell'uso dell'arma, in quanto la percentuale di oleoresin capsicum contenuta nella bomboletta spray usata per commettere il reato è inferiore al 2,5%, il formato è inferiore a 20 ml e mancano del tutto sostanze tossiche, corrosive, cancerogene o agenti chimici aggressivi.
2.3. Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta sussistenza della lesione, ad onta della mancanza di un certificato medico che ne attestasse la natura, nonché delle dichiarazioni della persona offesa alla Polizia di non aver riportato alcuna lesione, se non un prurito al collo, dichiarazione reiterata con atto scritto depositato dinanzi a Tribunale e del tutto pretermesso dalla Corte di appello. A seguire la ricorrente invoca l'assoluzione perché il fatto non sussiste o il proscioglimento per mancanza di querela.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.
1. Il primo motivo di ricorso - che invoca il proscioglimento per mancanza di querela, agitando l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022 - è manifestamente infondato perché il reato è procedibile di ufficio, trattandosi di lesione aggravata ai sensi dell'art. 585 c.p., dall'uso di un'arma, per le ragioni che si esporranno in relazione al motivo sub 2). L'attuale disposto dell'art. 582 c.p., comma 2, recita, infatti, "Si procede tuttavia d'ufficio se ricorre taluna delle circostanze aggravanti previste nell'art. 61 c.p., n. 11-octies), artt. 583 e 585 c.p., ad eccezione di quelle indicate nell'art. 577 c.p., comma 1, n. 1), e nel comma 2".
2 Il secondo motivo di ricorso - che lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta natura di arma dello spray al peperoncino utilizzato dall'imputata - è infondato dal momento che appaiono condivisibili le argomenti della Corte di appello, con le precisazioni che seguono.
La sostanza contenuta nella bomboletta adoperata dall'imputata è l'oleoresin capsicum, che è una sostanza naturale le cui proprietà vasodilatatorie, proprie della capsaicina, provocando l'irritazione delle mucose e degli occhi degli esseri umani, vengono utilizzate per finalità di autodifesa della persona. Il D.M. n. 103 del 2011, recante "Disposizioni in materia di sicurezza pubblica", ha prescritto le condizioni in presenza delle quali uno strumento di autodifesa fondato sull'impiego di capsaicina può essere legittimamente detenuto (Sez. 2, n. 14608 del 14/03/2023, Simeone, Rv. 284404). La bomboletta in uso all'imputata - si legge nel ricorso - rientrava nei limiti stabiliti per consentirne il porto.
Ciò posto, il Collegio osserva, quanto alla sussistenza della circostanza aggravante in discorso, che la norma di riferimento è quella di cui all'art. 585 c.p., comma 2, secondo cui, agli effetti della legge penale, per armi si intendono, tra l'altro, oltre che le armi in senso proprio e gli altri oggetti la cui destinazione naturale è l'offesa alla persona, anche tutti gli strumenti atti ad offendere, dei quali è dalla legge vietato il porto in modo assoluto ovvero senza giustificato motivo; il richiamo è evidentemente agli oggetti di cui alla L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 4, comma 2.
Ebbene, a proposito della natura delle bombolette spray a base di oleoresin capsicum, questa Corte (Sez. 2, Simeone, cit.) ha attuato una distinzione tra le bombolette le cui caratteristiche esorbitino da quelle stabilite dal D.M. sopra menzionato e quelle che tali caratteristiche rispettino, ma che siano portate per finalità non difensive ma aggressive.
In dettaglio, il precedente in parola, dopo aver individuato come "armi" vere e proprie le bombolette non rispettose delle specifiche tecniche di cui al D.M. in parola, si è soffermato su quelle rientranti nei limiti suddetti, esaltandone le potenzialità comunque eterolesive e adottando una prospettiva "funzionale", legata alla torsione della finalità per cui l'oggetto viene portato, che, nei casi di porto non per scopi autodifensivi ma offensivi, le riconduce comunque agli oggetti utilizzabili per l'offesa alla persona e di cui la L. n. 110 del 1975, art. 4, comma 2, vieta il porto senza giustificato motivo, motivo che la stessa proiezione eteroaggressiva esclude.
D'altra parte, per reputare sussistente l'aggravante di cui all'art. 585 c.p., comma 2, che la ricorrente contesta non è neanche necessario che la bomboletta utilizzata possa essere classificata ai sensi della L. n. 110, art. 4 cit..
Il Collegio osserva, infatti, che la giurisprudenza di questa Corte ha riempito di contenuti la nozione di cui all'art. 585 c.p., comma 2, sostenendo che il porto di un oggetto non destinato all'offesa cessa di essere giustificato nel momento in cui, per le circostanze di tempo di luogo o per il concreto uso che dello strumento viene fatto, esso perde la propria connotazione di oggetto di uso comune e diventa invece un'arma impropria. Ne consegue che qualsiasi oggetto comune, che in un contesto aggressivo possa essere utilizzato per l'offesa alla persona, è qualificabile come arma ai fini dell'applicazione dell'aggravante di cui all'art. 585 c.p., comma 2, come testimoniato dall'ampia casistica rinvenibile nelle sentenze di questa Corte che hanno affermato e ribadito il principio (Sez. 5, n. 26059 del 02/05/2019, G., Rv. 276132, concernente il caso di utilizzo di un accendino e di liquido infiammabile, Sez. 5, n. 54148 del 06/06/2016, Vaina, Rv. 268750, con riferimento ad un manico di scopa; Sez. 5, n. 8640 del 20/01/2016, R., Rv. 267713, in ordine ad un pezzo di legno; Sez. 5, n. 46482 del 20/06/2014, A, Rv. 261017, per un guinzaglio; Sez. 5, n. 49517 del 21/11/2013, R, Rv. 257758, per una paletta di plastica; Sez. 5, n. 47504 del 24/09/2012, Baciu, Rv. 254082, in relazione ad un bicchiere di vetro).
Si tratta, quindi, di una nozione anch'essa "funzionale" e non legata necessariamente alla definizione dell'oggetto utilizzato come arma dalla legislazione speciale in materia e neanche alla sua classificazione come oggetto vietato L. n. 110 del 1975, ex art. 4 potendo riferirsi ad ogni oggetto di uso comune che sia adoperato, nello specifico contesto, per l'offesa alla persona. Ciò consente, a maggior ragione, l'inclusione nella categoria delineata dall'art. 585 c.p. e precisata dalla giurisprudenza di questa Corte di uno strumento, come la bomboletta contenente spray urticante, che reca in sé la capacità di offendere e il cui utilizzo è circoscritto precisamente dalla legislazione in materia.
3. Il terzo motivo di ricorso - che lamenta vizio di motivazione e violazione di legge quanto alla natura di "lesione" penalmente rilevante di quella patita dalla persona offesa - è infondato anche se, per taluni aspetti, lambisce l'inammissibilità.
Il riferimento è alla diversa interpretazione delle dichiarazioni della persona offesa che viene invocata, a cui questa Corte non può procedere. Ciò che conta è che la Corte di appello abbia parlato di irritazione a viso e collo, che costituisce di per sé una menomazione dell'integrità fisica rilevante ex art. 582 c.p.. In questo senso si richiama il precedente pure evocato dalla Corte territoriale, che, proprio a proposito di uno spray urticante, ha sostenuto che "la malattia atta a determinare una alterazione anatomica o funzionale dell'organismo è anche quella, ancorché localizzata, che risulti di lieve entità e non sia influente sulle condizioni organiche generali, onde lo stato di malattia perdura fino a quando sia in atto il suddetto processo di alterazione" (Sez. 5, n. 6371 del 19/01/2010, Zona, Rv. 246158).
Quanto alla pretermissione delle dichiarazioni scritte della persona offesa, la doglianza segue a quella che in appello aveva introdotto il tema, ma che era del tutto generica, in quanto priva di qualsivoglia riferimento al contenuto di dette dichiarazioni, solo genericamente chiamate in causa.
4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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