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Data di pubblicazione: 23 maggio 2023
Data di riferimento: 23 maggio 2023

22100

Cassazione

Il reato di cui all'art. 189 C.d.S., commi 6 e 7, è configurabile nei confronti dell'utente della strada coinvolto nel sinistro, pur se non responsabile dello stesso, in quanto l'incidente, che è comunque ricollegabile al suo comportamento, assume il valore di antefatto non punibile idoneo ad identificare il titolare di una posizione di garanzia al fine di proteggere gli altri utenti coinvolti dal pericolo derivante da un ritardato soccorso

 

Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza numero 22100 del 23/05/2023

 

RITENUTO IN FATTO

 

1. Con sentenza del 31 maggio 2022, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza emessa il 28 ottobre 2021 dal Tribunale (Omissis), (Soggetto 1), è stato ritenuto responsabile dei reati di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992 n. 285 art. 189, commi 6 e 7, perché, essendo stato coinvolto in un incidente stradale comunque ricollegabile al suo comportamento, nel quale aveva riportato lesioni (Soggetto 2), non si fermò e omise di prestare assistenza alla persona ferita.

 

Secondo la ricostruzione dei fatti fornita dai giudici di merito, il (Omissis), (Soggetto 1) si trovava alla guida dell'autovettura Fiat (Omissis) targata (Omissis) che fu coinvolta in un incidente stradale col motociclo (Omissis) targato (Omissis) condotto da (Soggetto 3). Nel sinistro, il motociclo cadde a terra e la minore (Soggetto 2), che viaggiava sul veicolo in qualità di passeggera, riportò lesioni giudicate guaribili in gg. 7 s.c.

 

2. Contro la sentenza ha proposto tempestivo ricorso il difensore dell'imputato articolandolo in tre motivi che di seguito si riportano nei limiti strettamente necessari alla decisione come previsto dal D.Lgs. 28 luglio 1989 n. 271, art. 173, comma 1.

 

2.1. Col primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e). Sostiene che la Corte territoriale ha ritenuto attendibili le dichiarazioni rese da (Soggetto 3) - il quale ha sostenuto di essere stato urtato dall'auto condotta da (Soggetto 1) mentre questa si spostava da una corsia ad un'altra - e tuttavia ha riconosciuto tale testimonianza, per alcuni aspetti, non credibile. Secondo la difesa, una tale motivazione è intrinsecamente contraddittoria perché, dopo aver individuato le incongruenze esistenti nelle dichiarazioni rese dal teste, le ha ritenute non rilevanti e perché la Corte territoriale avrebbe dovuto considerare che (Soggetto 3), era solo formalmente un teste imparziale, essendo vittima dell'incidente e patrigno della (Soggetto 2), costituitasi parte civile in giudizio. Il ricorrente riferisce che (Soggetto 1) ha sostenuto di essersi spostato da sinistra a destra, mentre (Soggetto 3), ha affermato che l'auto si spostò da destra verso sinistra. Ricorda che, come la Corte di appello ha riconosciuto, il teste ha inverosimilmente indicato un proprio collega di lavoro come presente ai fatti e ha detto in udienza di essersi trovato al momento dell'impatto nella corsia di sinistra, mentre aveva dichiarato alla Polizia municipale di aver proceduto tra due file di auto e, quindi, a cavallo tra le due corsie. Sostiene che, alla luce di tali contraddizioni, sarebbe credibile un urto verificatosi nella parte destra dell'autovettura non percepito dall'imputato che si allontanò solo perchè inconsapevole di essere stato "coinvolto" nell'incidente.

 

2.2. Col secondo motivo, il ricorrente deduce vizi di motivazione quanto alla sussistenza dell'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 189, comma 7, C.d.S.. Sostiene che l'imputato si allontanò essendosi reso conto che altre persone stavano prestando soccorso alle persone cadute le quali, dunque, non avevano obiettivo bisogno di assistenza.

 

2.3. Col terzo motivo, la difesa si duole della mancata applicazione delle attenuanti generiche che è stata illogicamente giustificata con riferimento a precedenti penali risalenti nel tempo.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

 

1. I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità.

 

2. La sentenza impugnata dà atto che (Soggetto 1), ha reso dichiarazioni spontanee nel giudizio di appello affermando che, la mattina del fatto, si spostò dalla corsia di sinistra a quella di destra, ma, nel farlo, non urtò il motociclo condotto da (Soggetto 3) che sopraggiungeva dietro di lui, a cavallo delle due corsie, nello spazio vuoto lasciato dalle auto. Vide però che il motociclo aveva un equilibrio precario e lo vide cadere qualche metro avanti a lui. Non si fermò perché ritenne di non aver avuto alcun ruolo nella caduta e vide che altre persone stavano prestando soccorso a coloro che viaggiavano sul veicolo. L'imputato ha dichiarato dunque che, subito dopo essersi spostato dalla corsa di sinistra a quella di destra, vide una moto - che sopraggiungeva dietro di lui alla sua destra - procedere con equilibrio precario per abbattersi al suolo dopo aver sopravanzato la sua auto. Dalla sentenza di primo grado risulta che l'imputato aveva reso dichiarazioni analoghe nel corso del dibattimento di primo grado, quando si era sottoposto ad esame. Anche in quella occasione, infatti, egli aveva detto: di essersi spostato dalla corsia di sinistra a quella di destra; di aver notato un motociclista sopraggiungere "a velocità sostenuta in mezzo alle macchine, come fanno tutti i motociclisti"; di essersi reso conto, dopo aver completato la manovra di spostamento sulla corsia di destra, che il motociclista aveva perso il controllo del mezzo e, dopo aver sopravanzato la sua macchina, era caduto.

 

La sentenza impugnata non presenta profili di contraddittorietà o manifesta illogicità quando desume da questa tesi difensiva che, se anche (Soggetto 1) non percepì alcun impatto tra la propria auto e la moto, tuttavia si rese conto che l'incidente poteva essere ricollegato al suo comportamento perché si era spostato dalla corsia di sinistra a quella di destra pur avendo visto una moto sopraggiungere nello spazio libero esistente tra le auto incolonnate nelle due corsie e, dopo averlo fatto, aveva constatato che il motociclista aveva perso il controllo del mezzo. E' conforme ai principi di diritto che regolano la materia l'aver ritenuto che, per ciò solo, ai sensi dell'art. 189 C.d.S., comma 1, (Soggetto 1) fosse obbligato a fermarsi e a prestare assistenza alle persone eventualmente ferite. Ed invero, secondo il costante insegnamento di questa Corte di legittimità, "il reato di cui all'art. 189 C.d.S., commi 6 e 7, è configurabile nei confronti dell'utente della strada coinvolto nel sinistro, pur se non responsabile dello stesso, in quanto l'incidente, che è comunque ricollegabile al suo comportamento, assume il valore di antefatto non punibile idoneo ad identificare il titolare di una posizione di garanzia al fine di proteggere gli altri utenti coinvolti dal pericolo derivante da un ritardato soccorso" (Cfr. Sez. 4, n. 52539 del 09/11/2017, S., Rv. 271260; Sez.4,  n. 34138 del 21/12/2011, dep. 2012, C., Rv. 25374501). A questo proposito si è opportunamente sottolineato che la prova della riconducibilità del sinistro alla condotta dell'imputato non equivale alla prova della responsabilità del sinistro e che l'art. 189 C.d.S. prevede un reato istantaneo di pericolo. Tale pericolo deve essere accertato con valutazione ex ante e non ex post, sicché, "una volta verificatosi l'antefatto previsto dall'art. 189 C.d.S., comma 1, da intendersi come sinistro connesso alla circolazione stradale, sarebbe incompatibile con l'oggetto giuridico del reato e con la natura di reato di pericolo asserire che l'obbligo di attivarsi sia escluso per colui che, pur coinvolto nel sinistro, non ne sia responsabile". Una simile interpretazione, infatti, "condurrebbe all'assurda conseguenza per cui il dovere di attivarsi sarebbe escluso per ogni altro soggetto coinvolto nel sinistro, ove l'incidente fosse attribuibile in via esclusiva alla persona ferita che necessiti di assistenza" (Sez. 4, n. 52539 del 09/11/2017, S., Rv. 271260, pagine 4 e 5 della motivazione).

 

Per quanto esposto, la sentenza impugnata non può essere censurata solo perchè, pur riconoscendo che (Soggetto 3) non è attendibile quando sostiene che dietro di lui, in macchina, c'era un collega di lavoro, non attribuisce particolare significato a tali dichiarazioni e sottolinea che questa persona, in concreto, non è mai stata citata in giudizio. Neppure è censurabile che sia stato attribuito scarso rilievo alle differenti indicazioni rese dal teste sulla posizione della moto (a cavallo tra le due corsie nella prima versione, nella corsia di sinistra nella versione resa in dibattimento). La circostanza che le dichiarazioni di (Soggetto 3) non siano state sempre coerenti, infatti, non vale a rendere quelle dichiarazioni del tutto prive di attendibilità e che (Soggetto 1) fosse "coinvolto" nell'incidente emerge dalle dichiarazioni rese dallo stesso imputato.

 

3. Col secondo motivo, il ricorrente sostiene che l'art. 189 C.d.S., comma 7, sarebbe stato applicato in assenza dei presupposti, atteso che altre persone si erano fatte carico di soccorrere le persone che viaggiavano sulla moto. A questo proposito, la sentenza impugnata sottolinea che (Soggetto 1) ha dichiarato di aver visto cadere a terra il motociclo e dunque ha ammesso di essersi rappresentato che le persone che viaggiavano sul veicolo potessero essersi ferite. Muovendo da queste premesse la Corte territoriale osserva che, "essendo il mezzo rovinato a terra a non più di dieci metri dal punto di impatto ed essendo il traffico, in quel momento, abbastanza scorrevole, sarebbe stato impossibile per (Soggetto 1), transitato a fianco del motociclo nel volgere di pochissimi secondi, vedere già persone intente a soccorrere i feriti". Ricorda, inoltre, che il reato di omissione di assistenza non è configurabile quando altri abbia già provveduto e l'intervento dell'obbligato non risulti più necessario, ma tali circostanze devono essere valutate ex ante, nel momento in cui l'allontanamento avviene, e non ex post.

 

La motivazione non presenta profili di contraddittorietà o manifesta illogicità ed è conforme ai principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimità. Con la sentenza sez. 4, n. 14610 del 30/01/2014, R., Rv. 259216 questa Corte ha chiarito che "i contenuti dell'obbligo di prestare assistenza non possono essere ricostruiti alla luce di una interpretazione che ne comporti, in definitiva, la riduzione all'obbligo di prestare soccorso sanitario". I doveri di solidarietà che gravano sull'utente della strada, infatti, "impongono di considerare la locuzione "prestare l'assistenza occorrente alle persone ferite" come alludente ad ogni possibile forma di assistenza, anche residuale" (pag. 5 della motivazione). Ne consegue che la presenza di altre persone sul luogo di un incidente stradale non esime l'investitore dal dovere dell'assistenza nei confronti dell'investito ogni volta che il suo intervento possa apparire utile e che l'investitore resta dispensato da tale dovere solo quando si sia accertato che l'aiuto sia stato fornito da terzi in maniera effettivamente adeguata (cfr. Sez. 4, n. 711 del 12/03/1969, R., Rv. 111841). Una corretta interpretazione della norma in esame conduce dunque a ritenere che l'assistenza alle persone ferite non sia rappresentata "dal solo soccorso sanitario, bensì da ogni forma di aiuto di ordine morale e/o materiale richiesto dalle circostanze del caso. Tanto determina la necessità che colui che invochi l'efficace soccorso da altri prestato, quale ragione di insussistenza del fatto illecito, dia compiuta dimostrazione della adeguatezza dell'assistenza, nell'ampio senso dianzi indicato" (sez. 4, n. 14610 del 30/01/2014, R., Rv. 259216, pag. 6 della motivazione).

 

Sulla base dei principi esposti anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

 

4. Col terzo motivo, il ricorrente lamenta carenza della motivazione con la quale i giudici di merito hanno ritenuto di non applicare le circostanze attenuanti generiche. Come noto, al fine di ritenere o escludere tali circostanze attenuanti, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può risultare sufficiente allo scopo (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, M., Rv. 279549; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, D. C., Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014; L., Rv. 259899). La sentenza di primo grado ha valorizzato a tal fine l'assenza di elementi favorevoli e il fatto che l'imputato non abbia offerto alle persone offese neppure un simbolico risarcimento. La Corte di appello ha condiviso tale valutazione e, inoltre, ha attribuito rilievo ai precedenti, ancorché "non recentissimi". Ha sottolineato poi che l'applicazione delle attenuanti generiche non poteva essere giustificata dalla constatazione che (Soggetto 1), si era presentato alla Polizia municipale dopo aver saputo che la figlia (proprietaria dell'auto) era stata cercata. La motivazione è congrua, tanto più se si considera che nei motivi di appello non erano state specificate le circostanze di fatto che, secondo la difesa, avrebbero giustificato l'applicazione dell'art. 62 bis c.p. In questi casi, infatti, l'onere di motivazione del diniego delle attenuanti è soddisfatto con il mero richiamo da parte del giudice alla assenza di elementi positivi che possono giustificare la concessione del beneficio (Sez. 3, n. 54179 del 17/07/2018, D., Rv. 275440; Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, dep. 2016, P., Rv. 266460).

 

5. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere di versare la somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

 

Così deciso in Roma, il 18 aprile 2023.

 

 

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2023.

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