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Data di pubblicazione: 17 novembre 2004

Firenze. Viva la ragazza data per morta nell'incidente

Corriere della Sera
Sicilia
Mentre cerca le scarpe nella sua camera da letto, Doretta Boretti racconta di aver anche pensato di essere diventata una «bastarda». Una madre schifosa, «incapace di riconoscere le proprie figlie», adesso che le deve salutare per sempre, deve guardarle un’ultima volta e poi vederle sparire dentro a due bare di zinco.
Sono le 18 di questo martedì troppo agghiacciante per essere definito surreale. Nel mezzo di un incrocio di destini che non avrà lieto fine per nessuno. E questa donna che vaga in una casa piccola dai mobili laccati in bianco, un tinello, la sua stanza, quella di Maria Chiara ed Elisabetta, due letti stretti allineati e coperti di gigli, non è una «bastarda». E’ una donna che ha ragione, adesso come all’alba di ieri mattina, ma che per almeno otto ore non è stata creduta, perché, dai, troppo dolore sulle sue spalle, qualcosa che ti acceca, come fai a essere lucida? Come fai a immaginare una storia del genere? Due corpi scambiati, uno ancora vivo vegliato in ospedale da un padre e una madre che non sono suoi e l’altro sul tavolo dell’obitorio, che sta per essere seppellito, con una madre che dice, ma no, questa non è mia figlia e non viene creduta. Impossibile, dai. Invece è così.
Doretta Boretti parla e intanto cammina mentre i parenti si fanno da parte, si appiattiscono alle pareti. «Il cappotto dov’è?». Deve tornare al reparto rianimazione di Careggi, ha da fare, ha scoperto di avere ancora una figlia, anche se il suo funerale era programmato per ieri mattina alle 8.30, tutta via del Gignoro è tappezzata con i manifesti a lutto per la morte di Maria Chiara e di Elisabetta, che invece è ancora appesa alla vita da un filo sottilissimo. «Sono andata a vederle e il signore in camice non voleva che lo facessi. "A che serve?" mi fa. "Sono straziate, signora". Ma io volevo dirle ciao, tanto com’erano me lo ricorderò per sempre, gli rispondo».
Sabato notte i carabinieri hanno suonato al campanello di questa casa alla periferia di Firenze, a Coverciano. Doretta Boretti ha pensato che Maria Chiara ed Elisabetta, le sue figlie di 21 e 22 anni, avessero dimenticato le chiavi. «Poco prima le avevo chiamate perché tirava un vento pazzesco, avevo detto loro di coprirsi». Peggio, molto peggio. Signora, c’è stato un incidente intorno alle 3.30. La Smart presa a noleggio e guidata da Julian Dano, un ragazzo albanese che viveva a Prato, viaggiava a 140 all’ora su viale Manfredo Fanti, la strada che costeggia lo stadio di Firenze. Ha invaso la carreggiata opposta, ha falciato il motorino sul quale viaggiavano Maria Chiara ed Elisabetta. «Le sue figlie non hanno sofferto» dice il maresciallo. Sono morte sul colpo. Come il conducente della Smart, sulla quale erano in tre. Le due ragazze a bordo sono ferite, una in modo leggero, l’altra, si chiama Maria Ieva, anche lei 21 anni, barese. Aveva trovato lavoro in una stireria di Prato. Ha un edema cerebrale, le gambe e il bacino spezzato. E’ in coma all’ospedale di Careggi, dove lavora come primario Alessandro Casini, il padre di Maria Chiara ed Elisabetta, da molti anni separato dalla madre. Poche speranze di salvarla, ai coniugi Ieva era stata chiesta la disponibilità all’espianto degli organi.
«Il funerale si terrà martedì alle 15.30 nella chiesa di San Michele a San Salvi», dice il cartello funebre. Ieri mattina Doretta Boretti, stretta nel maglione girocollo rosso e nel cappottino che indossa ora, entra all’istituto di Medicina legale di Careggi, che dista duecento metri dal Primo reparto di rianimazione dove Savino Ieva e sua moglie, arrivati da Bari, stanno pregando con il rosario in mano perché quella che credono loro figlia ce la faccia, sopravviva. «C’è questo stanzone enorme e al centro due barelle con i corpi delle mie bambine coperti da un telo bianco». Doretta Boretti scopre il primo lenzuolo. Al polso del corpo hanno appeso una targhetta: «Maria Chiara Casini». Sua madre non riesce a togliere gli occhi da quel viso. Non lo riconosce. Chiede di alzare l’altro lenzuolo, dal quale spunta un braccio con la targhetta «Elisabetta Casini». «Bella come il sole, era ancora stupenda la mia bimba, mi creda». Soltanto che non è Elisabetta, è Maria Chiara.
E’ un piccolo errore, succede, dice il responsabile, abbiamo scambiato le etichette di riconoscimento. «Guardi che questa ragazza ha il piercing al naso, la mia Elisabetta non l’ha mai avuto». Il dottore ha la risposta pronta: «Sa, queste cose se le fanno fare anche in un secondo...». Ma io le ho viste uscire di casa, replica la madre. E poi, Elisabetta ha una piccola cicatrice sul sopracciglio, un angioma sulla tempia destra, ha tre buchi all’orecchio sinistro e il corpo steso su una lastra di ferro intorno al quale ormai i due stanno litigando non ha niente di tutto questo, ha pure i capelli di colore diverso. «Guardi che non è un piccolo errore che succede, è uno sbaglio mostruoso, questa non è mia figlia» grida la madre di Maria Chiara ed Elisabetta.
Doretta Boretti chiama a casa, dice che non ci sarà nessun funerale. Fuori dal reparto rianimazione i genitori di Maria Ieva vogliono continuare a sperare, dicono che no, quella è loro figlia. Soltanto alle 19 arriva un imbarazzato comunicato della Polizia municipale che parla di «circostanze kafkiane» che hanno portato all’errore. L’assessore alla sicurezza del Comune di Firenze, Graziano Cioni, in una conferenza stampa raffazzonata scopre l’acqua calda: «Giochi del destino a parte, qui qualcuno ha sbagliato. Queste cose sono inammissibili e non dovranno mai più accadere». C’è un magistrato di turno che non si è sentito in dovere di fare un sopralluogo sul luogo del più grave incidente stradale avvenuto a Firenze dal dopoguerra a oggi, dei vigili che hanno fatto dei rilievi che più sbagliati non si poteva. Toccherà alla Procura stabilire chi ha la fetta maggiore di colpa.
Alle 18.30 Doretta Boretti è pronta. Chiude la porta di casa, cammina nel vialetto buio. Va a prendere il posto dei signori Ieva, che intanto hanno percorso quei 200 metri nel giardino nell’ospedale per riconoscere il corpo sul quale c’è ancora la grottesca targhetta «Elisabetta Casini». Avranno anche loro una stanza come questa di Maria Chiara ed Elisabetta, con le immagini di Vasco Rossi sul comodino, la copia di dipinti famosi alle pareti, dei vestiti da ragazza ancora buttati sulla sedia, dove sedersi in un silenzio immenso. «Non riesco a pensarci, al senso di beffa che si sommerà a un dolore atroce, uguale a quello che sto provando io. Posso solo dire che condivido ciò che provano». Oggi seppellirà Maria Chiara.
Doretta Boretti, che pure è poetessa e ha scritto dei versi da bimba dedicati alle sue bambine («Sei il mio sogno» per Elisabetta, «Il mio piccolo mistero» Maria Chiara), vorrebbe trovare altre parole da consegnare a questi altri genitori che tornano a casa senza più niente. Si sono incrociati ieri pomeriggio, si sono anche guardati male, perché si disputavano un brandello di speranza.
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