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Data di pubblicazione: 13 aprile 2008

Poliziotti suicidi, la strage nascosta

USA


Ogni anno si tolgono la vita oltre 400 agenti, contro i 150 che vengono uccisi in servizio: vittime di stress e paura, non chiedono aiuto. E anche le famiglie cercano di negare la realtà Ogni anno in America muoiono circa 600 poliziotti. Ma solo 150 finiscono sulle pagine dei giornali e hanno il loro nome scritto sul muro del National Law Enforcement Officers Memorial Fund di Washington, celebrati come eroi per essere caduti in servizio, nella lotta quotidiana contro il crimine.
Degli altri 400, invece, non si parla quasi: non c'è onore nel cadere per propria mano.

I due terzi dei morti registrati nelle file delle forze di polizia sono infatti vittime di suicidio: una strage che passa sotto silenzio e contro cui è difficile combattere, perché colleghi e famiglie spesso preferiscono nascondere la verità e perchè, prima di togliersi la vita, gli agenti non confessano quasi mai le proprie difficoltà, nè tanto meno chiedono aiuto a servizi di assistenza psicologica.
"Ogni 19 o 20 ore perdiamo un poliziotto a causa di ferite autoinflitte", conferma Robert Douglas Jr., ex ufficiale di polizia di Baltimora che dirige la Fondazione nazionale per i poliziotti suicidi del Maryland: le modalità con cui sono redatte le statistiche rendono difficile comparare il tasso dei suicidi fra i poliziotti e quello della popolazione civile, ma secondo i dati raccolti da Douglas, gli agenti che scelgono di togliersi la vita sono due-tre volte più numerosi di quanto non affermino le stime ufficiali, che registrano un tasso di 18 ogni 100mila, e la morte per suicidio è dunque molto più frequente di quanto accada nel resto della popolazione, dove i suicidi sono 11 ogni 100mila abitanti.

A mettere a rischio la vita degli agenti sono quindi non tanto le pallottole altrui, quanto l'esposizione continua al pericolo e allo stress, che possono condurre a depressione e ad altri disturbi mentali anche gravi, la riluttanza a rivolgersi a strutture specializzate per ricevere sostegno psicologico e infine, come sottolinea Wayne Keeney, avvocato del Connecticut con un passato nella polizia di New York, anche il puro e semplice fatto che, in quanto poliziotti, "hanno una pistola sempre a portata di mano".

Il problema è grave, anche se famiglie, colleghi e persino le stesse vittime cercano di negare la realtà dei fatti. Fra gli agenti "ho visto una quantità di suicidi travestiti intenzionalmente da omicidi", racconta David Mitchell, sovrintendente della polizia di Stato del Maryland dal 1995 al 2003: un tentativo di salvare sè stessi dall'estrema ammissione di un fallimento, ma anche di non precludere alla propria famiglia l'accesso ai programmi di sostegno economico e scolastico che il governo federale concede ai parenti dei poliziotti uccisi. Ma non a quelli degli agenti che si uccidono.

Sono ancora pochi i casi in cui è stato fatto uno sforzo concreto e coordinato per intervenire sulle condizioni che portano al suicidio, ma qualcosa ha cominciato a muoversi, ad esempio, in California e Maryland: dopo aver perso ben 10 dei suoi 7900 agenti fra il 2005 e il 2006, la polizia stradale californiana ha rafforzato il proprio programma di consulenza e formazione per la prevenzione dei suicidi, mentre la polizia di Stato del Maryland, sconvolta a fine anni Novanta da un'ondata di suicidi, due dei quali avvenuti nello stesso dipartimento a breve distanza di tempo, ha dato il via ad un programma per l'identificazione preventiva degli agenti a rischio, supportato da un servizio di consulenza psicologica e di "rieducazione" per i poliziotti coinvolti in situazioni di forte stress, come scontri a fuoco e casi di violenza su minori.

***
Fonte:
La Stampa.it

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