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Data di pubblicazione: 25 novembre 2007

La violenza sulle donne è endemica

Austria
"Violence against women is perhaps the most shameful human rights violation. It knows no boundaries of geography, culture or wealth. As long as it continues, we cannot claim to be making real progress towards equality, development, and peace." Kofi Annan
Per le donne tra i 15 e i 44 anni la violenza è la prima causa di morte e di invalidità: ancor più del cancro, della malaria, degli incidenti stradali e persino della guerra. Questo dato sconvolgente, proveniente da una ricerca della
Harvard University, apre il rapporto sulla violenza contro le donne nel mondo del
Panos Institute di Londra, un'organizzazione non governativa che si occupa di problemi globali e dello sviluppo.
Il rapporto, preparato per l'apertura di una sessione delle Nazioni Unite sulla condizione femminile, raccoglie studi e ricerche sul problema della violenza sulle donne effettuati in ogni parte del pianeta da organismi e istituti nazionali e internazionali. Dalle sue pagine, emerge la drammatica fotografia di una realtà che non risparmia nessuna nazione e nessun continente. Le ricerche compiute negli ultimi dieci anni sono concordi:
la violenza contro le donne è
endemica,
nei paesi industrializzati come in quelli in via di sviluppo.
E non conosce differenze sociali o culturali: le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le classi e a tutti i ceti economici. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, almeno una donna su cinque ha subito abusi fisici o sessuali da parte di un uomo nel corso della sua vita. E, come si può verificare anche solo aprendo le pagine di cronaca dei quotidiani, il rischio maggiore sono i familiari, mariti e padri, seguiti a ruota dagli amici: vicini di casa, conoscenti stretti e colleghi di lavoro o di studio.

La "banalità" della violenza sulle donne
Secondo uno studio pionieristico si L.Heise del 2005, la casa non è un porto sicuro per molte donne nel mondo.Le donne sono maggiormente a rischio di violenza proprio dove generalmente lo si dovrebbe essere: tra le calde e confortevoli braccia delle proprie relazioni intime. Mariti violenti o partners dai temperamenti irascibili, vicini fastidiosi, o semplicemente uomini rifiutati.Secondo alcune statistiche elaborate dalla polizia di Vienna, nel circa il 95% degli interventi, le vittime di violenza sono donne e bambini; con la stessa percentuale ci si riferisce ai "carnefici", membri di famiglia, mariti o fidanzati.
La difficoltà nell'analisi di questo fenomeno, è dovuta principalmente alla difficoltà che le "vittime" hanno nel raccontare la proprio esperienza. Tant'é che recenti studi compiuti in Germania, mostrano come solo il 25% delle donne che ha subito violenza, ha la forza di denunciare il fatto alle autorità competenti (ministero federale per gli affari familiari, 2004).
Ma il dato che maggiormente sconvolge, è la consapevolezza che la violenza fisica, sessuale e psicologica è, molto alta in tutti i contesti ed in tutti i paesi. Questa consapevolezza emerge chiaramente anche dall'ultimo rapporto ONU del 2006 sulla violenza sulle donne.
Ma per cercare di comprendere appieno questo fenomeno, occorre una definizione chiara e comprensiva della violenza contro donne, quale requisito indispensabile per lo sviluppo e la realizzazione di interventi effettivi.
Chiaro in questo senso, l'operato delle Nazioni Unite, che ne danno una prima definizione nella
Dichiarazione sull'Eliminazione della Violenza contro Donne (1993):

"con il termine violenza contro le donne si intende ogni atto di violenza di genere in base al quale si dà luogo, o ne potrebbe risultare, un danno fisico, sessuale o psicologico, o che possa arrecare sofferenza alle donne, incluso minacce di tali atti, coercizione o la privazione arbitraria della libertà."
A partire dall'elaborazione, nel 1985, delle "Strategie di lungo periodo per il progresso delle donne fino al 2000" adottate nel corso della Conferenza di Nairobi, viene progressivamente a maturare nelle istituzioni internazionali una nuova consapevolezza intorno al tema della
violenza contro la donna anche grazie all'opera delle ONG.
La violenza nei confronti delle donne assume varie forme. Essa si realizza sia in ambito privato che pubblico. Forme di violenza sono: la violenza domestica, lo stupro, il traffico di donne e bambine, l'induzione alla prostituzione e la violenza perpetrata in occasione dei conflitti armati, quali omicidi, stupri sistematici, schiavitù sessuale e maternità forzate. Sono manifestazioni di violenza anche i delitti d'onore, la violenza collegata alla dote, gli infanticidi femminili e la selezione prenatale del sesso a favore dei bambini di sesso maschile, le mutilazioni dell'apparato genitale femminile, e altre pratiche e tradizioni dannose.
La centralità di questa tematica è confermata sul finire degli anni ‘80 dal lavoro del
Comitato previsto dalla Convenzione per l'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna (CEDAW). Tra gli anni 1989 e 1992 il Comitato adotta due
General Recommendations su questo tema. Mentre nella prima la questione viene trattata in termini molto sintetici, la seconda raccomandazione traccia con precisione i molteplici aspetti collegati alla questione della violenza nei confronti della donna che viene definita come una forma di discriminazione. L'impegno della comunità internazionale e delle ONG sarà negli anni '90 estremamente intenso, anche per effetto del verificarsi di gravi conflitti armati nel corso dei quali le parti avevano spesso sottoposto la componente femminile della popolazione a sistematiche violenze sessuali, in primis lo stupro, senza per questo andare incontro ad alcuna apprezzabile forma di sanzione.
La
Dichiarazione e il relativo Programma d'Azione, adottati a Vienna dalla Conferenza mondiale sui diritti umani del 1993 sanciscono nella maniera più esplicita la piena appartenenza della problematica della violenza nei confronti delle donne al discorso dei diritti umani. Facendo seguito ad una precisa raccomandazione contenuta nel documento di Vienna, l'Assemblea Generale adotta nel corso dello stesso 1993 la
Dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne. La Dichiarazione oltre a costituire una sorta di completamento della Convenzione del 1979, rappresenta il documento più avanzato prodotto in sede internazionale su questo problema. Anche la decisione presa dalla Commissione sui diritti umani nella sua 50a sessione in merito alla nomina di un
relatore speciale sulla violenza contro le donne testimonia la centralità che questo tema, già nella prima parte degli anni ‘90, aveva acquisito nell'agenda politica internazionale. A livello regionale l'adozione nel 1999 della
Convenzione inter-americana sulla prevenzione, la punizione e lo sradicamento della violenza contro le donne attesta ulteriormente l'importanza di tale problematica relativamente alla condizione femminile.

"... la violenza contro donne è una manifestazione di relazioni di potere storicamente diseguali tra uomini e donne, e che hanno condotto alla dominazione e alla discriminazione contro donne da uomini ed alla difficoltà di un sereno "avanzamento" sociale delle donne...."
La questione della violenza, insieme alle implicazioni per le donne connesse ai conflitti armati è stata considerata in modo dettagliato nella Piattaforma d'Azione adottata dalla IV Conferenza mondiale sulle donne di Pechino del 1995. La Piattaforma d'Azione approvata dalla Conferenza di Pechino nel 1995 è il testo politico più rilevante e tuttora più consultato dalle donne di tutto il mondo. E' a Pechino che i movimenti di tutto il mondo hanno affermato la propria pretesa di "guardare il mondo con occhi di donna" e hanno proclamato che "i diritti delle donne sono diritti umani".
La dichiarazione e la piattaforma d'azione adottate a conclusione della conferenza annunciano gli obiettivi strategici e le azioni che devono essere realizzati per sormontare gli ostacoli che si frappongono alla promozione delle donne.
Sono stati identificati dodici ambiti che costituiscono ostacoli alla promozione delle donne e che quindi devono essere oggetto di azioni specifiche: le donne e la povertà; l'istruzione e la formazione delle donne; le donne e la salute; la violenza contro le donne; le donne e i conflitti armati; le donne e l'economia; le donne, il potere e il processo decisionale; i meccanismi istituzionali per la promozione delle donne; i diritti umani delle donne; le donne e i mass-media; le donne e l'ambiente, nonché le giovani donne.
La conferenza di Pechino ha anche dato rilievo al concetto di genere e alla necessità di includere la parità tra i sessi in tutte le istituzioni, politiche e azioni degli Stati membri delle Nazioni unite.
Alla Conferenza dei governi hanno partecipato 5.307 delegate e delegati ufficiali, e 3.824 rappresentanti delle ONG. Erano inoltre presenti 3.200 operatori dei media e 4.041 giornalisti provenienti da 124 paesi. Di questi, 841 erano cinesi, 1.468 provenivano da 18 paesi asiatici, 1.210 dall'Europa e dall'Australia, 268 dall'Africa, 134 dai paesi del Medio Oriente e 829 dagli Stati Uniti e dal Canada. Contemporaneamente, al Forum delle ONG di Huairou partecipavano 31.000 donne, rappresentanti di più di 2.000 organizzazioni di 200 diversi paesi.
Anche l'Italia, così come pure l'Unione Europea, si conformano a tale definizione di violenza categorizzata alla Conferenza di Pechino del 1995.
Secondo l'indagine ISTAT
[1] pubblicata lo scorso febbraio,
sono oltre 14 milioni le donne italiane che nel corso della vita sono state oggetto di violenza fisica, sessuale o psicologica; di queste, circa 1.100.000 hanno subito lo
stalking (comportamenti persecutori) e, strano ma vero,
la maggior parte delle violenze non è mai stata denunciata.
Secondo l'Istat sono 6.743.000 le donne vittime di violenza fisica o sessuale (il 31,9%), 5 milioni di violenze sessuali (23,7%), 3.961.000 di violenze fisiche (18,8%); 6.092.000 donne hanno subito solo violenza psicologica dal partner attuale (36,9% delle donne che vivono al momento in coppia).
Negli ultimi 12 mesi, il numero delle donne vittime di violenza ammonta a 1.150.000 (5,4%) e di queste il 3,5% ha subito violenza sessuale mentre il 2,7% fisica. La violenza domestica ha colpito il 2,4% delle donne, quella al di fuori delle mura domestiche il 3,4%.

Pochissime le denunce e nel circa il 96% dei casi si tratta di violenze da parte un non partner e il 93% di quelle da parte del partner; stessa cosa per gli stupri, non denunciati nel 91,6% dei casi. Risulta essere inoltre
molto consistente il numero delle donne che non parla con nessuno delle violenze subite (33,9% per quelle subite dal partner e 24% per quelle da non partner).
Per l'Istat,
un terzo delle vittime subisce sia violenza fisica che sessuale, anche più volte (67,1% dal partner contro il 52,9% dal non partner); tra le violenze fisiche rilevate è frequente l'essere spinta, strattonata, aver avuto i capelli tirati (56,7%), l'essere minacciata di essere colpita (852%), schiaffeggiata, presa a pugni, a calci o a morsi (36,1%). Tra la violenza sessuale, la più diffusa è la molestia fisica, ossia essere stata toccata sessualmente contro la propria volontà (79,5%), l'aver avuto rapporti sessuali non desiderati accettati per paura (19%), il tentato stupro (14%), lo stupro (9,6%) e i rapporti sessuali degradanti ed umilianti (6,1%). La violenza psicologica è stata subita da 7.134.000 donne (6.092.000 solo psicologica), il 43,2% con partner attuale.
Di queste 3.477.000 l'hanno subita spesso o sempre (21,1%) mentre 1.042.000 donne hanno subito sia violenza psicologica che fisica o sessuale, il 90,5% delle vittime di violenza fisica o sessuale; questo tipo di violenza si esprime con l'isolamento o il tentativo isolamento (46,7%), il controllo (40,7%), la violenza economica (30,7%), la svalorizzazione (23,8%), le intimidazioni (7,8%).

Per quanto riguarda lo stalking, il 68,5% dei partner ha cercato insistentemente di parlare con la donna contro la sua volontà, il 61,8% ha chiesto ripetutamente appuntamenti per incontrarla, il 57% l'ha aspettata fuori casa o a scuola o al lavoro, il 55,4% le ha inviato messaggi, telefonate, email, lettere o regali indesiderati, il 40,8% l'ha seguita o spiata e l'11% ha adottato altre strategie; quasi il 50% delle donne vittime di violenza fisica o sessuale da un partner precedente ha subito anche lo stalking.
Insieme al report dell'Istat è stato presentato anche lo
spot televisivo per sensibilizzare sull'argomento l'opinione pubblica; la protagonista dello spot, con evidenti segni di violenza fisica, cerca scuse per giustificarli all'esterno. Segno che la difficoltà di parlare della violenza subita è lo scoglio più grande da superare.
Vediamo più da vicino, quindi, le diverse forme che la violenza assume:

Violenza all'interno della famiglia. Vi rientrano maltrattamenti da parte del coniuge; abuso sessuale di bambine all'interno della famiglia; violenza per motivi legati alla dote; stupro da parte del coniuge; mutilazioni genitali femminili e altre pratiche dolorose inflitte alle donne per tradizione; segregazione, maltrattamenti e riduzione a schiavitù inflitte nei confronti di lavoratrici domestiche.

Violenza sulle donne all'interno della comunità. Vi rientrano stupri e abusi di tipo sessuale; molestie e violenze sessuali sul posto di lavoro; tratta delle donne; prostituzione forzata e lavoro forzato; stupro e abusi da parte di gruppi armati.

Violenza per motivi di genere perpetrata o consentita dallo Stato o da "attori non statali" come poliziotti, guardie carcerarie, soldati, funzionari dell'immigrazione e così via. Vi rientrano gli stupri commessi da forze governative in corso di conflitti armati; le sterilizzazioni forzate; la tortura e le violenze inflitte in caso di custodia.

Violazione dei diritti fondamentali delle donne in situazione di conflitto armato. Vi rientrano la presa di ostaggi; la deportazione; lo stupro sistematico; la schiavitù sessuale; la gravidanza forzata e la tratta ai fini di sfruttamento sessuale ed economico.
[2]
Inoltre si può trattare di:

violenza fisica: ogni tipo di maltrattamento fisico;

violenza sessuale
: ogni atto sessuale non consensuale;

violenza psicologica: ogni attacco verso la propria identità consistente per esempio in scherno, minacce, disprezzo, insulti,ecc;

violenza economica: ogni tipo di controllo ingiusto sui redditi comuni come può essere la negazione dell'accesso alle risorse economiche della famiglia;

violenza di carattere strutturale: il danno derivante dall'impatto dell'organizzazione economica sulla vita delle donne.

violenza morale: ogni intervento mirante a ridicolizzare un credo religioso o culturale.
[3]
La violenza sulle donne non è prerogativa di un determinato sistema politico o economico, ma è presente in qualsiasi società indipendentemente da fattori quali razza, cultura, istruzione o benessere. La violenza è un fenomeno trasversale; gli uomini responsabili di violenze provengono da tutte le classi sociali e da tutti gli ambienti e appartengono a ogni fascia di età. È anche vero che bisogna tener conto della tipologia di violenza, perché se per esempio nelle ricerche compiute sulla violenza domestica il livello di istruzione dell'uomo e il tipo di professione non risultano mai associati alla violenza sulla moglie, in altri tipi, per esempio quella relativa alle mutilazioni genitali femminili, sono la povertà, l'emarginazione e il basso grado di istruzione ad influire pesantemente. È necessario altresì ricordare che la violenza in ambienti sociali degradati e in particolari gruppi culturali o etnici è più evidente, poiché sottoposti ad un'osservazione particolare.

Ma quali sono gli strumenti che l'Europa ha messo in atto a tutela delle donne?
Una lettura del fenomeno si può avere comparando i dati forniti dal WAVE network, la maggiore rete europea delle organizzazioni non governative che lavorano per combattere la violenza contro le donne e i bambini. I dati sono reperibili sul sito:
http://www.wave-network.org/
La rete Wave è stata costituita nel 1994 dalla Commissione Europea all'interno del progetto Daphne
[4] e comprende attualmente circa 1480 organizzazioni che lavorano in questo campo. Tra queste naturalmente figura anche "Linea Rosa" che ringrazio per avere organizzato questo convegno e per avermi invitato. Le principali finalità di Wave Network sono la prevenzione e l'informazione nel campo specifico della violenza fra congiunti. L'ufficio di coordinamento è a Vienna e si occupa in particolare di:
•· raccogliere e distribuire i dati sulle organizzazioni che lavorano nel campo della violenza alle donne e ai bambini
•· attuare un programma di prevenzione mediante campagne informative e attività internazionali;
•· organizzare eventi come la Wave Conference o gli incontri dello Steering Group.
•· Gli obiettivi della rete Wave sono:
•· raccogliere informazioni in relazione alla violenza dell'uomo sulla donna e i bambini
•· scambiare informazioni sulle organizzazioni femminili, ricerche, leggi applicabili e strategie di prevenzione
•· influenzare le politiche europee ed internazionali sulla violenza
•· stimolare azioni comuni e ulteriori analisi da parte delle donne
•· promuovere analisi "femministe" sulla violenza alle donne
•· sviluppare e promuovere criteri e linee guida a livello europeo in relazione alla legge, ai servizi ed alle strategie di prevenzione
•· offrire sostegno economico (finanziario, formativo, risorse)
•· aumentare la consapevolezza e creare una maggiore comprensione della violenza contro le donne
•· rafforzare i contatti tra le differenti regioni d'Europa
•· rafforzare i diritti delle donne emarginate
I primi interventi, che furono di carattere sociale (linee telefoniche, case-rifugio, centri anti-violenza, associazioni, gruppi), riuscirono a diffondere in maniera capillare un approccio di «genere» al problema, pur non possedendo ancora una solida base legislativa. Basti pensare che a livello internazionale, nella nota Convenzione Cedaw (Convention on the Elimination of All Forms of Discriminations Against Women), contro tutte le forme di discriminazione contro le donne, emanata nel 1979 dalle Nazioni Unite, non si faceva alcun espresso riferimento alla violenza. Per quanto riguarda la normativa comunitaria, è negli anni '80 che si è iniziato ad affrontare in maniera diretta questo tema con una serie di risoluzioni, direttive, programmi, finanziamenti e prese di posizione. Il primo documento europeo, che porta la data del 1986, è la Risoluzione sulla violenza contro le donne.

Risoluzione sulla violenza contro le donne del 1986.
Adottata dal Parlamento europeo l'11 giugno 1986, la Risoluzione sulla violenza contro le donne è, come è già stato sottolineato, il primo documento ufficiale europeo - particolarmente indicativo visto il livello istituzionale da cui proviene - che affronta in maniera esplicita, chiara e diretta il tema della violenza contro le donne. Bisogna tener presente che, in generale, le risoluzioni sono strumenti d'azione degli organi comunitari che presentano intenzioni e pareri sul processo generale d'integrazione o su specifici compiti a livello comunitario o extracomunitario; la loro importanza politica consiste soprattutto nel contribuire a dare un orientamento ai lavori futuri del Consiglio, in quanto manifestazioni della volontà politica comune, e, inoltre, garantiscono un livello minimo di coordinamento tra le autorità nazionali e comunitarie. Non sono atti giuridicamente vincolanti, ma questo non ne compromette il valore e l'utilità, in quanto è a partire da queste che si orientano le scelte per gli atti vincolanti; hanno, quindi, una forte incidenza sul lavoro legislativo dell'Unione europea e conseguentemente degli Stati membri.
La Risoluzione sulla violenza contro le donne è caratterizzata da un'impostazione che rimarrà costante ogni volta che, in sedi comunitarie, si affronterà il tema della violenza contro le donne. Tale tema sarà sempre affrontato, infatti, come un problema articolato che si origina da molteplici cause, che si esprime in innumerevoli modi e che va affrontato con interventi che agiscano su più ambiti e livelli. Viene in rilievo che, nonostante a livello internazionale e nazionale gli Stati membri riconoscano i diritti fondamentali dell'uomo - quali l'inviolabilità della persona, la tutela della vita privata, della dignità e della volontà umana - e nonostante la violenza rappresenti una violazione di tali diritti, le donne continuano ad esser oggetto di varie forme specifiche di violenza, la quale poggia su cause psicologiche, sociologiche e sociali riconducibili alla sua ancora debole posizione a livello economico.
Citando il saggio di M. R. Saulle "
La violenza domestica nel diritto internazionale e comunitario", a proposito di questa Risoluzione afferma che:

la politica contro la violenza ai danni delle donne rientra nella politica di emancipazione volta ad eliminare le ineguaglianze e a conseguire la parità tra i sessi invitando le autorità nazionale a creare le premesse legislative e finanziarie perché i centri di accoglienza svolgano una funzione adeguata ed a formare in modo opportuno gli operatori del settore, in modo che la sensibilità della vittima non sia turbata.

Risoluzione sulla necessità di organizzare una campagna a livello dell'Unione europea per la totale intransigenza nei confronti della violenza contro le donne del 1997.
Adottata dal Parlamento europeo il 16 luglio 1997, è composta da due parti: la prima consiste in 26 punti in cui il tema della violenza viene analizzato e che costituisce una premessa alla seconda parte, composta da 40 punti contenenti una serie di esortazioni, affermazioni, inviti alla Commissione europea, ecc.
Partendo dalle considerazione già fatte sulla violenza come violazione dei diritti umani sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo,
in primis il Parlamento europeo accetta la definizione della violenza stabilita nella Piattaforma di Pechino del 1995 e ne collega l'eliminazione allo sviluppo di una società democratica e paritaria. Il Parlamento considera, oltre l'impatto del fenomeno, anche lo stato delle denunce e si rende conto come ancora sia un fenomeno sommerso in particolare per la mancanza di strumenti giuridici, sociali ed economici a tutela delle vittime. Le poche statistiche a disposizione evidenziano come la violenza non appartenga ad un determinato
status sociale o ad una determinata fascia d'età, è una piaga endemica, quotidiana e purtroppo ancora avvolta da pregiudizi: "per esempio che la violenza tra le mura domestiche sarebbe una questione privata o che le violenza dell'uomo nei confronti della donna sarebbero da imputare al comportamento di quest'ultima". La violenza viene banalizzata e considerata "normale", viene associata al silenzio, all'isolamento e alla vergogna; le donne temono castighi ulteriori se decidono di parlarne in quanto non hanno accesso agli organi ufficiali o non hanno fiducia nel fatto che verranno credute e trattate con rispetto.
Altro aspetto fondamentale trattato in tale Risoluzione e molto spesso trascurato è quello dell'impatto economico della violenza, si considera il fatto che gli studi particolareggiati su costi e conseguenze sociali della violenza sono ancora scarsi, ma è comunque possibile evidenziarne un impatto economico molto elevato. Da una parte, la violenza riduce le risorse della società civile perché sottrae alle donne la possibilità di partecipare alla vita pubblica, sia a causa delle conseguenze fisiche e psicologiche, che contribuiscono all'assenteismo nei posti di lavoro e alla perdita di produttività, sia quando vengono trasferite altrove a scopo di tratta; dall'altra assorbe le risorse dei centri medici e sociali, del servizio giudiziario, dei centri sanitari e del datore di lavoro, gravando lo Stato di spese sostenute.
Jan Kleijssen, direttore della Direzione generale dei diritti dell'uomo al Consiglio d'Europa, afferma che, sulla base di uno studio fatto nei Paesi membri del Consiglio d'Europa, la stima del costo totale annuo della violenza è di 34 miliardi di euro a Paese. Violenza ed economia sono legate anche sotto un altro aspetto; è stato dimostrato, infatti, che è nei periodi di crisi e di maggiore insicurezza che la violenza contro donne e bambini aumenta. Basti pensare che vi sono specifiche forme di violenza che si utilizzano in caso di guerra quale strumenti di prevaricazione e di controllo: stupri di massa, denigrazioni, mutilazioni, torture, omicidi, ecc. Sono queste delle violazioni sistemiche e sistematiche.
È allo stupro che fa riferimento la Risoluzione del 1997 dicendo che questo "viene utilizzato come strumento attivo di guerra ed è annoverato fra i crimini contro l'umanità dagli statuti del tribunale penale internazionale ad hoc sui crimini perpetrati nell'ex Jugoslavia". "Sono gli stupri di una misoginia che si sprigiona dalla xenofobia e non trova alcun freno da parte dei poteri ufficiali", afferma Catharine A. MacKinnon nel saggio "Crimini di guerra, crimini di pace". Sono pratiche utilizzate per indebolire il nemico, stupri come genocidi, stupri per uccidere, stupri tenuti nascosti dai vertici, ma tollerati, consentiti e legittimati dallo stato di guerra, funzionali agli stessi scopi di guerra.
A distanza di undici anni dalla Risoluzione del 1986 viene, inoltre, considerato un importante progresso a riguardo, quello di prevedere e sanzionare la violenza sessuale anche all'interno del matrimonio, cosa esplicitamente richiesta nel decennio precedente, pur non essendoci ancora una adeguata conoscenza del fenomeno negli ambiti specialistici (polizia, operatori sociali, giuristi).
Fin qui le considerazioni di cui tratta la prima parte della Risoluzione, nella seconda parte, invece, vengono fatte una serie di esortazioni agli Stati membri a considerare la violenza come un atto criminale e ad adottare una legislazione specifica per la tutela delle donne al di fuori dell'ambito penale. Innovativo appare il fatto che si riconosca in maniera esplicita che parlare di violenza domestica è considerato un tabù e a tal proposito si sottolinea l'importanza di eliminare il silenzio da cui è circondata. Per il resto vengono ripresi i temi chiave della Risoluzione dell'86: la necessità di statistiche e maggiori informazioni, la tutela nei confronti delle donne immigrate, una formazione specializzata per chi opera nel settore, il legame tra violenza e tutela dei figli, la diffusione delle molestie sul lavoro, istituzione di linee telefoniche e centri di accoglienza. Inoltre il Parlamento europeo "raccomanda caldamente che le iniziative locali siano basate su un approccio pluriorganizzativo che coinvolga polizia, autorità ed enti locali, cosi come organizzazioni di donne e ONG" e "sottolinea l'imprescindibile ruolo svolto dalle organizzazioni non governative nella lotta alla violenza contro le donne e invita pertanto gli Stati membri ad appoggiarle attivamente dando vita a un congruo quadro finanziario che ne promuova lo sviluppo", soffermandosi quindi, oltre che su un approccio che parte dalle istituzioni, anche su un approccio che parte dal terzo settore.
È su questi presupposti che al punto 33 di tale Risoluzione si afferma la necessità di proclamare il 1999 come Anno europeo contro la violenza nei confronti della donna, tenendo conto delle precedenti iniziative a riguardo e dei miglioramenti possibili. Per i finanziamenti si sollecita la Commissione a proporre una linea di bilancio per "garantire l'assegnazione di risorse sufficienti che assicurino una campagna visibile che coinvolga i governi, le agenzie, le organizzazioni delle donne e altre ONG". Si tiene presente che un ruolo fondamentale per la riuscita di tale campagna ce l'hanno proprio le organizzazioni di donne, che dovranno organizzare una campagna flessibile che consenta un buon impatto tanto a livello locale che regionale e nazionale, mediante strumenti pubblicitari incisivi e positivi "che ritraggano le donne come sopravvissute alle violenze e non come vittime". Il Parlamento conclude augurandosi che "una siffatta campagna si adoperi per modificare l'atteggiamento della società in modo da rendere del tutto intollerabile, a livello individuale, collettivo e istituzionale, la violenza ai danni delle donne".

1999: Anno europeo contro la violenza nei confronti della donna.
Il Parlamento europeo, sia attraverso la risoluzione appena esaminata sia mediante la dichiarazione scritta del 9 marzo 1998 - firmata, quest'ultima, da 350 deputati al Parlamento europeo ed approvata il 2 aprile 1998 -, ha chiesto alla Commissione e al Consiglio che il 1999 sia proclamato Anno europeo contro la violenza nei confronti delle donne, dando il via a una campagna europea sul tema.
Così nel gennaio del 1999 nasce la campagna europea contro la violenza domestica con una dotazione di circa 4 milioni di euro, con l'obiettivo di manifestare una tolleranza pari a zero nei confronti di questo reato, di intraprendere provvedimenti preventivi e garantire una migliore protezione delle vittime, migliorare la rete di informazione e le analisi statistiche, sostenere la cooperazione e la coordinazione tra gli Stati membri e rafforzare il lavoro del terzo settore in tale campo. La campagna ha portato a una maggiore sensibilizzazione, ad una più dettagliata informazione, a nuove proposte legislative e a ulteriori iniziative a livello nazionale, come l'adozione di piani nazionali d'azione e la promozione dei centri di tutela delle condizioni delle donne negli Stati membri. La campagna è durata fino al maggio 2000.

Risoluzioni relative al Programma Daphne.
È opportuno citare due ulteriori documenti relativi all'istituzione del Programma d'azione comunitaria contro la violenza su bambini, giovani e donne: la Risoluzione sulla violenza contro le donne e Programma Daphne emanata dal Parlamento europeo nel 1999 e il Programma d'azione comunitaria sulle misure preventive intese a combattere la violenza contro i bambini, i giovani e le donne, emanato con decisione n. 293/2000/CE dal Parlamento europeo e Consiglio il 24 gennaio 2000. In tali documenti vengono ribadite le posizioni espresse nelle precedenti risoluzioni, ma sono da sottolineare alcuni aspetti come l'invito fatto alla Commissione e agli Stati membri di adoperarsi in sede ONU per trasformare la Dichiarazione di Pechino in una Convenzione vincolante, l'invito a sensibilizzare l'opinione pubblica, a migliorare l'assistenza alla vittime con il finanziamento di servizi indipendenti, ad attuare modifiche alle procedure giuridiche che spesso dissuadono le donne a porgere denunce, a sostenere il lavoro delle organizzazioni non governative.

Ultimi sviluppi europei.
Sebbene l'ambito della violenza contro la donna sia stato affrontato tardivamente a livello europeo, il contributo è diventato sempre maggiore con il passare degli anni ed è proprio nell'ultimo decennio del secolo scorso e in questo decennio che i lavori si susseguono numerosi. Le prime iniziative intraprese non possono far altro che aprire la strada a nuove, visto che l'ostacolo primario da abbattere è proprio il silenzio dettato dal pregiudizio e la conseguente accettazione tacita. Cosi, sulla base delle risoluzioni già viste, è utile valutarne due emanate in tempi recenti: la Risoluzione del Parlamento europeo sulla situazione attuale nella lotta alla violenza contro le donne ed eventuali azioni future e la Risoluzione del 13 marzo 2007 intitolata "Tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010"; in più è bene soffermarsi anche sull'istituzione dell'Anno europeo delle pari opportunità per tutti su decisione del Parlamento europeo e del Consiglio dei Ministri.

Risoluzione sulla situazione attuale nella lotta alla violenza contro le donne ed eventuali azioni future del 2006.
Il 2 febbraio 2006 il Parlamento europeo ha approvata la Risoluzione sulla situazione attuale nella lotta alla violenza contro le donne ed eventuali azioni future. Questa risponde al bisogno di trovare una conciliazione tra la lotta contro la violenza e il rispetto dei diritti umani, che è alla base della creazione di quello Stato di diritto simbolo di una vera società avanzata e civilizzata, nonché presupposto per l'appartenenza all'Unione europea. Maria Carlshamre della Commissione per i diritti della donne e l'uguaglianza di genere, nella motivazione alla proposta di detta risoluzione del Parlamento, sottolinea proprio l'importanza dello Stato come strumento di difesa dei diritti fondamentali; citando l'opera di John Locke del 1690 "Due trattati sul governo", afferma che la ragione per cui i cittadini trasferiscono allo Stato la sovranità è sì la necessità di avere un governo, ma con il presupposto che adempia all'obbligo fondamentale che gli compete ossia la difesa di diritti quali la vita, la libertà, l'incolumità fisica. Quando ciò non diviene possibile il contratto si rompe; la violenza contro le donne è causa di rottura.
La relatrice, riguardo al perseguimento penale del reato, riconosce che "
gli atti di violenza che di solito hanno come vittime le donne non sono così attivamente perseguiti come accade nei casi di violenza che normalmente colpiscono gli uomini" e che mentre la violenza nelle strade e nei luoghi pubblici nei confronti degli uomini è considerata da secoli come reato, quella domestica nei confronti di donne e bambini ha trovato solo ultimamente posto nelle leggi penali.
Basti citare per l'Italia la legge 4 aprile 2001 n. 154 sulle "
Misure contro la violenza nelle relazioni familiari", la quale ha permesso l'ingresso nell'ordinamento giuridico italiano di un istituto riconducibile alla nozione di "violenza in ambito domestico e familiare", sebbene non ha creato nuove fattispecie penali specifiche, ma ha solo arricchito strumenti processuali già esistenti aggiungendo la misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis) e l'ordine di protezione contro gli abusi familiari (art. 342-bis). È tuttavia un dato di fatto che nel sistema giuridico italiano tale concetto di violenza non compare né viene definito da nessuna norma ed è il giudice che deve svolgere un'opera interpretativa per adattare alle fattispecie concrete le norme penali previste; e se il lavoro è più agevole per i casi di violenza fisica o sessuale, più difficile è per la violenza economica e psicologica, "rispetto alle quali vale tuttora come principale rimedio il ricorso alle procedure civili di separazione, divorzio e interruzione della convivenza di fatto".
Partendo da queste basi, il Parlamento europeo, nella risoluzione del 2006, considera la violenza
non
solo come un delitto ma anche come un grave problema di ordine sociale connesso all'iniqua distribuzione del potere tra i generi. La risoluzione riprende tutti i punti principali trattati nelle risoluzioni del decennio precedente e ne specifica, in maniera innovativa, degli aspetti. Considerando le statistiche sulla violenza domestica (che purtroppo seguitano ad essere scarse), i parlamentari riconoscono come sia necessario insistere sulla tutela della vittima e su un'assistenza di tipo legale, medico, sociale e psicologico, che includa anche un'eventuale protezione da parte della polizia, soprattutto durante e dopo la separazione. Infatti le vittime di maltrattamenti sono maggiormente a rischio di essere uccise dal responsabile di questi maltrattamenti, in particolar modo nel corso dei due mesi che seguono una separazione legale o fisica e, inoltre, per una donna i rischi di essere uccisa aumentano se tenta di separasi dal partner senza riuscirci. È inoltre necessario fornire le donne vittime di violenza di un reddito minimo, qualora non abbiamo altre risorse, che le permetta di avere una propria autonomia economica ed eviti che restino legate al partner violento esclusivamente per bisogni finanziari.
Per quanto riguarda i perpetratori di violenza ci si prospetta di adottare "una strategia proattiva, preventiva e repressiva al fine di ridurre la recidività", mediante centri di accoglienza a cui possano rivolgersi, spontaneamente o su decisione di un tribunale e comunque si chiede di non accettare mai come attenuante alcun riferimento all'assunzione di sostanze alcoliche.
La protezione dei bambini diventa un altro tema fondamentale del presente documento; trova maggiore spazio e viene affrontato in maniera più specifica e dettagliata, prima di tutto in vista degli obblighi assunti a livello internazionale dagli Stati membri nei confronti dei diritti del minore (per esempio con la Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1989), poi per la veridicità del principio comune per cui la violenza genera violenza. La violenza viene purtroppo trasmessa anche da una generazione all'altra; gli studi socio-psicologici fatti dimostrano che chi è autore di violenze, molto spesso si è trovato a subirle, e che i bambini recepiscono i comportamenti tenuti dagli adulti e li adoperano a loro volta, dando vita a cicli di abusi. La violenza ha un impatto sulla salute emotiva e mentale dei figli delle vittime e per questo è necessario "considerare se i bambini che assistono a maltrattamenti a danno delle loro madri debbano essere considerati vittime e se devono quindi avere diritto al risarcimento dei danni, conformemente alla legislazione nazionale" ed è opportuno garantirgli comunque assistenza e sostegno sociale e psicologico.
Maggiore attenzione viene data anche a quelle forme di violenza tipiche di altre tradizioni culturali ma che, purtroppo, sono divenute una realtà preoccupante anche in Europa: mutilazioni genitali femminili, delitti d'onore e matrimoni forzati.

Risoluzione 13 marzo 2007: "Tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010".
La risoluzione del Parlamento europeo del 13 marzo 2007 "
Tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010" fa seguito alla strategia-quadro comunitaria per la parità promossa per gli anni 2001-2005
[5]. La tabella, proposta dalla Commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere
[6], ha lo scopo di far progredire il programma sulla parità fra le donne e gli uomini (basato su un quadro d'azione che consenta l'inserimento della parità in tutte le attività comunitarie), presentando un bilancio delle attività già esistenti e delineando nuove prospettive, mediante azioni positive e indicatori, da utilizzare per monitorare i progressi compiuti; sarà seguita da una valutazione intermedia nel 2008 e una valutazione accompagnata da una proposta di sviluppo nel 2010.
Nella tabella vengono considerati sei settori prioritari d'intervento:
indipendenza economica uguale per le donne e gli uomini;
conciliazione della vita privata e professionale;
rappresentanza uguale nell'assunzione di decisioni;
eliminazione di ogni forma di violenza basata sul genere;
eliminazione degli stereotipi legati al genere;
promozione della parità fra le donne e gli uomini nelle politiche esterne e di sviluppo.
Sulla base della relazione di Amalia Sartori, della Commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere, che ha proposto la tabella, viene in evidenza come l'obiettivo prioritario sia mettere al centro i diritti fondamentali della donna, per promuovere l'appropriazione da parte dei cittadini europei del concetto di uguaglianza di «genere». Difatti nella suddetta risoluzione, partendo dai principi espressi nella dichiarazione di Vienna, che "i diritti umani delle donne e delle bambine sono parte inalienabile, integrale e indivisibile dei diritti umani universali", si insiste su una politica volta al coordinamento e rafforzamento delle misure europee e nazionali per la protezione giuridica di tali "soggetti deboli". Si invita la Commissione "ad effettuare ricerche sulle cause sottostanti alla violenza connessa al genere, a mettere a punto indicatori sul numero delle vittime e, determinando preventivamente una base giuridica, a presentare una proposta di direttiva sulla lotta alla violenza contro le donne". Importante è sottolineare come venga fatta richiesta di uno strumento legislativo europeo avente forza vincolante, la direttiva, dopo che, in ambito europeo, il tema è stato sempre trattato con atti che non hanno forza vincolante.
Per quanto riguarda gli indicatori, sono strumenti che, grazie ad alcuni parametri, permettono di misurare o controllare lo stato e il progresso di un processo, come l'eliminazione della violenza sulle donne. Nel dicembre del 2002, per esempio, furono adottati da tutti gli Stati membri sette indicatori che fanno riferimento alle vittime, agli aggressori, all'assistenza delle vittime, a programmi di reinserimento degli aggressori, alla formazione di professionisti, alle linee guida politiche e alla valutazione dei progressi raggiunti. Gli indicatori sono inoltre promossi dal programma Daphne II e sono alla base del suo successo. È utile comunque ricordare che costituiscono uno strumento efficace per monitorare, in ogni Stato membro, il progresso nella prevenzione ed eliminazione della violenza, ma perdono di efficacia se i singoli Stati non promuovono in maniera determinante l'eliminazione della violenza mediante un piano d'azione nazionale e se non mettono a disposizione un budget che ne permetta l'attuazione.
Viene dedicato ampio spazio alla promozione della donna anche in ambito di cooperazione allo sviluppo, ossia negli interventi europei a favore dei Paesi in via di sviluppo, per la promozione delle pari opportunità e per il sostegno delle donne. L'Unione europea si impegna per il sostegno finanziario di piani di sviluppo, per la realizzazione degli Obiettivi di sviluppo del Millennio, per la promozione di un accesso paritario ai programmi di formazione e di sviluppo. Sono le donne che gestiscono, infatti, l'economia di molti Paesi in via di sviluppo, sono le donne che si occupano del lavoro, "eppure, fino a poco tempo fa, nei piani della cooperazione internazionale le donne erano illustri assenti", poiché i fondi dei programmi di sviluppo venivano affidati esclusivamente agli uomini. A proposito dei programmi di formazione si ricorda che nei Paesi in via di sviluppo per ogni 100 bambini senza accesso alla scuola primaria vi sono 115 bambine nella stessa situazione. L'Unione europea vuole impegnarsi per abbattere tali disuguaglianze.

2007: Anno Europeo delle Pari Opportunità per tutti.
Il 2007 quale Anno Europeo delle Pari Opportunità per Tutti è stato promosso dalla Commissione europea con la Comunicazione "Una strategia quadro per la non discriminazione e le pari opportunità per tutti" ed è stato istituito con la decisione del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 maggio 2006. La promozione della lotta contro la discriminazione è portata avanti dall'Unione europea sin dalla sua nascita, infatti ha una solida base normativa a partire dai trattati istitutivi; di qui la volontà di rafforzarne l'impegno con l'istituzione di un Anno delle Pari Opportunità per tutti che possa garantire il raggiungimento di quattro obiettivi fondamentali: diritti, rappresentanza, riconoscimento e rispetto. La decisione che istituisce l'Anno europeo delle pari opportunità per tutti riprende dunque come base giuridica l'art. 13 paragrafo 2, l'art. 2 e l'art. 3 paragrafo 2 del trattato che istituisce la Comunità europea, insieme all'art. 21 e 23 della Carta dei diritti fondamentali di Nizza. Si riconosce che, nonostante nella legislazione europea siano aumentate le garanzie di uguaglianza e di protezione contro le discriminazioni, "nella loro vita quotidiana le persone dell'Unione europea continuano a trovarsi alle prese con discriminazioni e disparità di trattamento". Per questo, compito dell'Anno europeo è quello di sostenere e incentivare gli interventi degli Stati membri volti ad attuare la legislazione comunitaria in materia di parità e di non discriminazione. In più, non potendo prescindere dal principio della parità tra i generi, si dice all'art. 4 che tale iniziativa tiene conto "dei diversi modi in cui le donne e gli uomini subiscono discriminazioni fondate sulla razza o l'origine etnica, la religione o le convenzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali".
Il budget previsto è pari a 15 milioni di euro, di cui 6 milioni fino al 31 dicembre 2006 per le attività preparative. Le azioni da svolgere prevedono: riunioni e manifestazioni, campagne d'informazione, inchieste e studi su scala comunitaria o nazionale. Senza soffermarci troppo sugli aspetti pratico-organizzativi, che è possibile consultare nella sopraindicata decisione, è utile vedere come è stata recepita dal Governo italiano tale iniziativa europea. Come traspare nell'intervento della Ministra per i diritti e le pari opportunità, on. Barbara Pollastrini, il 3 maggio 2007, in occasione dell'inaugurazione dell'Anno europeo, il Governo italiano ha prima di tutto voluto fare delle Regioni, Province e Comuni i protagonisti principali dei progetti finanziati e ha voluto "mettere a punto un programma d'urto efficace per l'inclusione, l'uguaglianza di partenza, il riconoscimento dei meriti". Un ruolo fondamentale all'interno dell'Anno europeo è riservato alla lotta contro la violenza sulle donne. Da citare un'iniziativa sorta, sempre a livello nazionale, nell'ambito dell'Anno Europeo: il convegno promosso dal Dipartimento per i Diritti e le Pari Opportunità "Oltre le MGF:una questione di diritti", tenutosi a Roma nella Giornata mondiale per l'eliminazione delle Mutilazioni Genitali Femminili, il 6 febbraio 2007. La discriminazione deve essere combattuta nei settori in cui appare più radicata e, purtroppo, uno di questi è quello della violenza nei confronti della donna, che si manifesta in più ambiti e in più aspetti; è per questo che promozione delle pari opportunità vuol dire promozione della non discriminazione e promozione della figura e dell'identità della donna, quale soggetto rispettato e tutelato, a livello nazionale come comunitario.
È questo l'obiettivo ultimo delle politiche comunitarie che lottano per l'eliminazione della violenza e la promozione dell'uguaglianza di genere.
Ed in tal senso si muove il finanziamento, da parte dell'Unione europea, di progetti proposti da organizzazioni non governative, enti pubblici o altre organizzazioni e associazioni attive nel settore della lotta contro la violenza verso i bambini, i giovani e le donne. Questi finanziamenti, emanati prima su base annuale con l'Iniziativa Daphne e successivamente su base pluriannuale con i Programmi Daphne, sono quindi espressione di un più profondo lavoro dell'Unione europea, e non solo, volto alla lotta contro la violenza le cui basi possono essere fatte risalire alla Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo, alla CEDU, alla Cedaw, alla Dichiarazione di Vienna del 1993 fino alla Piattaforma di Pechino del 1995 - come affermato nella relazione di Lissy Gröner della Commissione per i diritti della donna e le pari opportunità - e che passa attraverso tutte le risoluzioni emanate sul tema.
Fu in particolar modo a seguito degli avvenimenti del 1996 in Belgio, con il ritrovamento dei corpi senza vita di due bambine scomparse (il caso Dutroux) e del successivo Congresso mondiale di Stoccolma contro lo sfruttamento sessuale a fini commerciali dei bambini, che la Commissione europea decise di organizzare una riunione con organizzazioni non governative, membri del Parlamento e della Commissione, autorevoli rappresentanti locali ed esperti in materia di bambini per discutere sul tema della tratta e dello sfruttamento sessuale. Da qui l'
iter che porta alla comparsa di due programmi: STOP, rivolto contro la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale dei bambini, e DAPHNE, rivolto più propriamente a combattere la violenza nei confronti dei bambini, dei giovani e delle donne. Il nome di quest'ultima iniziativa fa riferimento alla ninfa della mitologia greca, inseguita dal dio Apollo, che se ne era innamorato; nel tentativo di sfuggirgli Daphne chiede l'aiuto del padre, che la trasforma in un albero d'alloro, salvandola dalle pretese del dio.
Daphne nasce inizialmente come un'iniziativa annuale, nel maggio del 1997, a seguito delle esigenze emerse dalla suddetta riunione: attuare delle azioni concrete contro l'abuso sessuale sui bambini, promuovere riforme legislative, favorire la cooperazione tra le ONG, effettuare buone rilevazioni dei problemi. L'iniziativa Daphne, partendo dalla tutela dei bambini, decide di non fermarsi a questa, ma di aprirsi fino a promuovere azioni di lotta anche contro la violenza su giovani e donne, in vista della Campagna europea contro la violenza domestica, che si prospettava per il 1999. Di Daphne se ne occupò la Commissione per la giustizia, gli affari interni e i diritti fondamentali, la quale stanziò dei fondi pari a 3 milioni di ecu. Era aperta a tutti gli Stati membri e il successo fu maggiore del previsto, tanto che l'iniziativa venne rinnovata nel 1998 e nel 1999 aumentando i fondi fino a 5 milioni di ecu. I progetti approvati nei tre anni furono 149; erano estremamente vari, comprendevano: la formazione di esperti per trattare i casi di bambini scomparsi, la rieducazione dei responsabili di reati sessuali, progetti contro la pornografia su Internet e lo sfruttamento delle immigrate, misure contro la violenza domestica.
Il successo dell'iniziativa Daphne fu così ampio da dimostrare come vi fosse già da tempo nel settore del volontariato la necessità di fondi europei da investire nella lotta contro la violenza su bambini, giovani e donne. Visto tale riscontro la Commissione ha deciso di continuare a fornire tali fondi e di ampliarli con la nascita di un vero e proprio programma pluriennale.
È con la decisione n. 293/2000/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, che il 24 gennaio 2000 viene approvato il Programma Daphne sostituendo l'iniziativa omonima. La decisione è intitolata "Programma d'azione comunitaria sulle misure preventive intese a combattere la violenza contro i bambini, i giovani e le donne (2000-2003, programma Daphne). Si dice che "la violenza fisica, sessuale e psicologica contro i bambini, i giovani e le donne lede il loro diritto alla vita, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità e all'integrità fisica ed emotiva e costituisce una minaccia grave alla salute fisica e psichica delle vittime" e che gli effetti di tale violenza sono talmente ampi nella Comunità da costituire un "flagello sanitario". È da notare come né in questa decisione né in altro documento relativo al programma Daphne venga mai definito il concetto di "violenza"; non è affatto una dimenticanza, ma un modo per far riconoscere come tale concetto non sia univoco e come ogni tentativo di definizione potrebbe limitare i progetti proposti e la percezione stessa di ciò che costituisce violenza. Una scelta meditata, quindi, in modo da poter inglobare ogni più piccolo aspetto del problema.
Il programma d'azione Daphne è stato adottato per il periodo che va dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2003 con l'obiettivo di "contribuire a garantire un elevato livello di tutela della salute fisica e psichica proteggendo i bambini, i giovani e le donne dalla violenza (anche sotto forma di sfruttamento e abusi sessuali), attraverso la prevenzione della violenza e il sostegno a coloro che ne sono vittime, in particolare al fine di prevenire in futuro la loro esposizione alla violenza", in più "mira anche ad aiutare e ad incoraggiare le organizzazioni non governative (ONG) e le altre organizzazioni attive in questo settore" contribuendo al benessere sociale. Le azioni da svolgere saranno:
•Ø transnazionali, finalizzate alla creazione di reti pluridisciplinari, allo scambio d'informazioni e alla cooperazione;
•Ø transnazionali, volte ad accrescere la consapevolezza dell'opinione pubblica;
•Ø complementari.
•Ø Analizzate più nello specifico negli allegati, le azioni previste mirano al:
•Ø sostegno alla creazione e al potenziamento di reti pluridisciplinari e alla promozione della cooperazione, per la promozione di un quadro comune di analisi, la quantificazione del fenomeno, valutazione delle misure e delle pratiche di prevenzione;
•Ø promozione e scambio di migliori pratiche sulla prevenzione della violenza e sostegno e protezione delle vittime;
•Ø sostegno di campagne di informazione, di progetti pilota e attività volte ad accrescere la consapevolezza della popolazione;
•Ø sviluppo di una fonte di informazioni a livello comunitario in grado di assistere e informare gli enti interessati mediante una banca dati accessibile e pratica;
•Ø studi nel campo della violenza e degli abusi sessuale sugli strumenti di prevenzione e sulle politiche più efficaci per il sostegno;
•Ø miglioramento della consapevolezza, della denuncia e degli atteggiamenti legati alle conseguenze della violenza;
•Ø ricorso ad organismi di assistenza tecnica o all'organizzazione di seminari, convegni o altri incontri di esperti, in grado di migliorare le attività d'informazione, pubblicazione e diffusione, ciò nell'ambito delle azioni complementari.
La dotazione finanziaria è pari a 20 milioni di euro per il periodo quadriennale e il contributo comunitario non può superare l'80% del costo totale del progetto.
Con la decisione n. 803/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 viene istituita la secondo fase del Programma Daphne, denominata Daphne II, per il periodo che va dal 1° gennaio 2004 al 31 dicembre 2008 (quindi attualmente in vigore), ma non è da escludersi la proroga. L'obiettivo fondamentale che viene dichiarato è quello di "prevenire e combattere tutte le forme di violenza che si verificano nella sfera pubblica o privata contro i bambini, i giovani e le donne mediante misure preventive e sostegno alle vittime e ai gruppi a rischio, ed in particolare la prevenzione dell'esposizione futura alla violenza" nonché "assistere ed incoraggiare le organizzazioni non governative e le altre organizzazioni attive nel settore".
Gli obiettivi e le modalità previste sono sostanzialmente le stesse degli anni precedenti, ma sono stati proposti una serie di miglioramenti:
•Ø Aumento della dotazione del programma, che sarà pari a 50 milioni di euro contro i 20 del primo programma, ciò per far fronte anche all'allargamento ai Paesi dell'Europa centrale e orientale;
•Ø Più completezza per quanto riguarda il tipo di azioni possibili e i settori d'intervento, che prevedono per esempio l'individuazione e scambi delle migliori pratiche ed esperienze, studi analitici, reti multidisciplinari durature, programmi per coloro che compiono atti di violenza, attività di sensibilizzazione, ecc;
•Ø L'utilizzo del 15% della dotazione per azioni che permettano di migliorare l'impatto del programma mediante, per esempio, l'utilizzo di indicatori della violenza, la creazione di proposte politiche comuni per combattere la violenza e la divulgazione a livello europeo delle buone pratiche scaturite dai progetti che sono stati finanziati.
Altra novità, già accennata, è il fatto che il programma Daphne II è aperto anche alla partecipazione dei paesi aderenti che hanno firmato il trattato di adesione in data 16 aprile 2003 e della Romania e Bulgaria, oltre che dei Paesi EFTA/SEE e della Turchia, già prevista nel precedente programma..
Anche il Programma Daphne II si è dimostrato efficace e valido nel raggiungimento degli obiettivi prefissi nella lotta contro la violenza, mediante un coinvolgimento intersettoriale che riesce a raggiungere localmente vittime e perpetratori. Per questo motivo la Commissione il 13 aprile 2005 ha presentato una proposta di decisione al Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma specifico denominato "Lotta contro la violenza (Daphne) e prevenzione e informazione in materia di droga per il periodo 2007-2013" come parte integrante del Programma generale "Diritti fondamentali e giustizia".
La Commissione si propone di fare dell'Europa uno spazio di sicurezza, libertà e giustizia, all'interno del quale si inserisce indubbiamente la tutela dei diritti fondamentali e la lotta contro la violenza; il Programma "Diritti fondamentali e giustizia" deve pertanto:
•Ø Promuovere lo sviluppo di una società europea basata sul rispetto dei diritti fondamentali (Diritti fondamentali e cittadinanza);
•Ø Contribuire alla creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia combattendo la violenza (Lotta contro la violenza e prevenzione e informazione in materia di droga);
•Ø Promuovere la cooperazione giudiziaria per la creazione di uno spazio europeo di giustizia in materia civile e commerciale (Giustizia civile);
•Ø Promuovere la cooperazione giudiziaria per la creazione di uno spazio europeo di giustizia in materia penale (Giustizia penale).
In maniera più specifica si afferma che la lotta contro la violenza, considerata in tutte le sue forme, si svilupperà mediante il sostegno alle vittime e ai gruppi a rischio, l'assistenza e il supporto alle ONG e alle organizzazioni attive nel settore, la diffusione dei risultati ottenuti con i precedenti programmi Daphne e mediante l'individuazione di azioni che contribuiscano al trattamento positivo delle persone a rischio di violenza.
Si legge sempre nella comunicazione della Commissione che "
il programma apporterà un valore aggiunto agli interventi nazionali già esistenti in questo settore, agendo da catalizzatore" e "
per quanto riguarda la lotta contro la violenza, il programma si baserà sull'attuale programma Daphne II," - che Daphne III andrà ad integrare e non a sostituire - "con adattamenti per migliorare la risposta apportata alle richieste della società civile, inclusa la possibilità di attuare nuove forme d'azione". Con un unico Programma generale (Diritti fondamentali e giustizia), all'interno del quale si innestano vari programmi specifici, si vuole superare uno dei punti deboli riscontrati nelle precedenti azioni specifiche sostenute dall'Unione europea, quello della presenza di una moltitudine di piccole linee di bilancio o finanziamenti
ad hoc, di durata limitata e spesso senza una coerenza d'insieme, che ne limita l'efficacia e l'ottimizzazione dell'uso delle risorse umane e finanziarie.
Nel settembre 2006 il Parlamento ha approvato la proposta della Commissione chiedendo però un aumento degli stanziamenti e proponendo una serie di emendamenti, volti a prestare particolare attenzione alla violenza sui bambini, alla violenza domestica, alle mutilazioni e alle azioni a favore delle minoranze etniche.
Il 5 marzo 2007 il Consiglio ha adottato la sua posizione comune all'unanimità su tale progetto di decisione emendato dal Parlamento, accettandone 32 emendamenti e respingendone 21. Il Consiglio ha riconosciuto il successo del programma Daphne e ha dato il suo appoggio per la continuazione in una terza fase, dal 2007 al 2013. La dotazione di bilancio è pari a 116,85 milioni di euro. Tale posizione sarà trasmessa nuovamente al Parlamento europeo per la seconda lettura nel quadro della procedura di codecisione.

Fonte:
Agenzia Radicale

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